La strage

I fatti che riguardano la strage sono compresi tra il 20 e il 22 luglio del 1944; in particolare, all’alba del 22 luglio vengono trucidate, fucilate o dilaniate dalle fiamme 64 delle 83 persone che vi abitano. Si tratta soprattutto di anziani, donne e bambini: 19 delle vittime non hanno ancora 10 anni. L’eccidio avviene nella casa di Domenico Baccellini, ma la devastazione copre un’area ben più vasta: i dieci capifamiglia di Tavolicci sono costretti a marciare e attraversano Ca’Sem, i cui abitanti vengono uccisi e che viene data alle fiamme, e Casanova e San Vico, distrutte senza fare vittime solo perché la popolazione allertata ha già abbandonato le case; arrivano infine a Campo del Fabbro dove vengono fucilati. I responsabili delle violenze sono i membri del IV Battaglione di volontari di polizia italo-tedesca, provenienti da San Donato di Sant’Agata Feltria, Balze e Sarsina, località in cui sono alloggiati.

La strage avviene all’alba del 22 luglio 1944 ma, a dimostrazione dell’accurata premeditazione, se ne può individuare un’anticipazione nei fatti avvenuti due giorni prima. Infatti, nel tardo pomeriggio del 20 luglio arrivano a Tavolicci sei o forse sette militi, tutti italiani ad eccezione di un tedesco, che rassicurano gli abitanti circa il loro passaggio, promettono di proteggerli e invitano tutti a dormire tranquilli nelle proprie case. Non è la prima volta che capita e come da abitudine, nonostante la miseria, vengono offerti loro del cibo e un posto per dormire. Il giorno seguente sono poi accompagnati a Sant’Agata da Luigi Gabrielli. La rassicurazione degli abitanti di Tavolicci si era resa necessaria in conseguenza di quanto avvenuto a Castelpriore il giorno prima, 19 luglio. Reparti del IV battaglione avevano invaso l’abitato, incendiato alcune case e ucciso un uomo: Mansueto Gabrielli che, spaventato, si era dato alla fuga. In generale il piccolo gruppo di contadini e boscaioli non è turbato dalla visita e anzi crede alle promesse fatte dai militi; non si presta quindi attenzione alla piccola Cecilia Alessandrini, che sostiene di aver udito strane parole sul “macello che si farà”.

Testimonianza di Cecilia Alessandrini raccolta da Roberto Branchetti.

Testimonianza di Maria Gabrielli, raccolta da Ennio Bonali e Sergio Lolletti

Due sere prima vennero sette qui, erano sette fascisti, parlavano tutti benissimo l’italiano. Vennero qui, sa, bisognava fare buona festa a tutti quelli che venivano perché erano armati. La mia povera mamma e c’era delle ragazze, gli fecero da mangiare, perché dissero che avevano fame, gli hanno fatto da mangiare. Loro dicevano: “State tranquilli, vedrete che non vi molesterà nessuno, non avete bisogno di scappare per la campagna perché qui passiamo noi” tutte queste storie raccontavano. Dopo, mio babbo sono andati ad accompagnarli, mio babbo e un altro che abitava in questa casa. Questo il giorno dopo, la sera hanno dormito in casa mia, il giorno dopo li hanno accompagnati a San Donato.

All’alba del 22 luglio Tavolicci è già circondata da circa un centinaio di poliziotti; è impossibile definirne il numero con precisione, ma sicuramente non sono meno di ottanta. Una volta bloccate le vie di fuga, questi si spargono tra le case facendo uscire gli abitanti; vista l’ora e tenendo conto delle rassicurazioni ricevute nei giorni precedenti, i rastrellatori sono sicuri di trovare tutti e tutte in casa. Infatti, solo Leopoldo Sartini e Giuseppe Botti sono nel loro rifugio, fuori dal paese. Così i dieci capifamiglia vengono legati e raggruppati in disparte, mentre le donne, gli anziani e i bambini sono rinchiusi nella casa di Domenico Baccellini, nella stanza sopra alla stalla. Fanno eccezione Domenico Sartini e la moglie Benilde Montini, ultraottantenni e infermi che vengono lasciati nel loro letto, e Domenico Babini, presso la cui casa non si reca nessuno. Vengono invece uccisi immediatamente coloro che non eseguono gli ordini: Francesco Sartini, che chiede di poter assistere la salma della moglie Francesca Botti morta la sera prima, e Giuseppe Sartini, freddato sulla porta di casa mentre cerca la figlia. In un primo momento, nonostante la paura e l’incertezza, si suppone o forse si spera che possa essere solo una perquisizione: forse cercano i giovani renitenti oppure le armi dei partigiani, ma a Tavolicci non ci sono resistenti. 

I militi rovistano nelle case per quasi un’ora e asportano quanto ritengono di valore che caricano sui muli. Nella stanza dove sono rinchiuse donne e bambini, avviene qualcosa di strano: un milite che rifiuta di eseguire un ordine viene gettato nella stanza, dice di essere di Ferrara, poi i suoi commilitoni lo fanno uscire dalla finestra ed a quel punto un milite mascherato irrompe nella stanza armato di mitra e spara una serie di colpi alla cieca. Esce solo per ricaricare e poi rientra, sparando su quell’ammasso di corpi terrorizzati e su quelli a terra sanguinanti. Contemporaneamente altri gettano bombe incendiarie nella stalla, dove le vacche legate cercano inutilmente di liberarsi, e le fiamme e il fumo salgono al piano superiore. Quasi tutti i reclusi e le recluse muoiono nel rogo. Alcuni cercano di salvarsi salendo sul tetto e buttandosi verso i campi, in questo modo si salvano due ragazzini Domenico Gabrielli e Gino Sartini; calandosi dal tetto si salva anche la bimba Dina Perini. Non ce la fanno invece Maria Castronai e le due figlie Annita e Elisa mitragliate sul tetto, mentre il figlio più piccolo Pietro, di appena quattordici giorni, rotola lungo il tetto e cade su una “spularola” e morirà pochi giorni dopo, altri cercano di passare dalla porta d’ingresso e sono respinti dalle guardie con pugnali e baionette. Una bambina di quattro anni viene sventrata, un’altra gettata tra le fiamme, entrambe sotto gli occhi terrorizzati delle rispettive madri.

Quando i poliziotti abbandonano il luogo della strage Maria Gabrielli di 14 anni, riesce ad uscire dalla stanza in fiamme con in braccio il piccolo Renzo Sartini di un anno e per mano il fratellino Giovanni di 5 anni, Adriana Sartini con la sorellina Maria ferita alle gambe. Gravemente ferite riescono a salvarsi anche: Annunziata Gabrielli, 24 anni, Argia Leonardi, 39 anni, Cecilia Manzi, 61 anni.

Per tutta la durata della strage i capifamiglia sono trattenuti all’esterno e costretti ad assistere alla straziante morte dei propri cari; quando la casa è ormai avvolta dalle fiamme sono incolonnati, legati saldamente e costretti a marciare. Il gruppo attraversa altre località limitrofe. Di queste, Mulino, Rivolpaio e San Vitale vengono risparmiante, mentre sono devastate e date alle fiamme Casanova e San Vico, abbandonate appena in tempo dalle famiglie allertate. Una sorte diversa spetta agli abitanti di Ca’ Sem, ossia la famiglia di Adolfo Perini, i cui membri sono sorpresi in casa mentre fanno colazione e fucilati. Sono da includere tra le vittime dell’eccidio la moglie Rosa di anni 51, le figlie Teresa di 24 anni e Gina di 18, il figlio Raimondo di 15, la nipote Jolanda, anni 18, la mamma Maria Carola Fracassi di anni 81 e il garzone Adolfo Baccellini di 14 anni. Vengono tutti raccolti nella stalla e uccisi insieme ad un anziano di Tavolicci, Domenico Sartini, forse “colpevole” di rallentare la marcia dei militi; al suo posto, gli uomini armati includono nella colonna il padre di Adolfo, Leopoldo. Si salvano invece il fratello Abramo e il figlio Albano, rifugiatisi nel bosco, e lo stesso Adolfo, che riesce a nascondersi dietro ad una porta.

La colonna si ferma infine a Campo del Fabbro, da cui la famiglia di Fortunato Zanchini si è già allontanata grazie all’intervento di Maria Gabrielli giunta da Tavolicci per avvisarli. Qui vengono fucilati i capifamiglia di Tavolicci. Le modalità con cui questi vengono uccisi non possono passare inosservate, poiché dimostrano una chiara conoscenza delle vittime. Infatti, viene ammazzato e messo sotto la botte del vino con il rubinetto aperto Amedeo Sartini, che “avrebbe voluto morire in una botte di vino”, mentre il cadavere di uno appassionato di cavalli è ritrovato nella stalla e ancora i due più religiosi sono composti in posizione di preghiera.

Ricostruire la successione degli eventi non è stato semplice per gli studiosi: i pochi documenti ufficiali sono lacunosi, non contengono una descrizione dei fatti esaustiva e anzi spesso forniscono informazioni divergenti e erronee, soprattutto in riferimento all’identità dei carnefici e alle cause di un simile eccidio. Le ricerche si sono quindi basate soprattutto sul memoriale redatto dal parroco di Pereto don Giovanni Babini a distanza di poco più di un anno dagli eventi, sulla sentenza della Corte d’Assise Straordinaria di Forlì del 1946 e sulle testimonianze orali raccolte negli anni ’70 e ’90.

Gli altri luoghi della strage

Memoriale di don Giovanni Babini, 22 ottobre 1945

Testimonianza di Gino Sartini, raccolta negli anni ‘70

Seconda testimonianza di Maria Gabrielli, raccolta da Ennio Bonali e Sergio Lolletti

Seconda testimonianza di Cecilia Alessandrini, raccolta da Roberto Branchetti

Testimonianza di Domenico Gabrielli, raccolta da Roberto Branchetti

Testimonianza di Leopoldo Sartini

Testimonianza di Giacomina Zanchini

 

 


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