Le biblioteche nell'Italia fascista

La politica bibliotecaria, l’amministrazione delle biblioteche, il controllo e la promozione della pubblica lettura rappresentano alcuni di quei «problemi specifici» che vanno adeguatamente approfonditi per ricostruire in maniera dinamica la realtà storica del regime fascista.

L’attenzione inedita che il fascismo dedicò a tutte le biblioteche – da quelle governative, a quelle comunali e provinciali, fino alle minuscole “bibliotechine” scolastiche e rurali – trovava una precisa ragione nella complessa «funzione nazionale» che a esse veniva assegnata, nella quale si sommavano motivi di prestigio, di formazione culturale e di controllo sociale.

Per molti versi, il governo fascista accolse per la prima volta esigenze ampiamente sentite dagli operatori delle biblioteche italiane, confermando una volta di più la necessità storiografica di riflettere sulle esperienze professionali delle élites tecnico-specialistiche e sul loro rapporto con la politica durante il ventennio fascista.

Negli anni Trenta la riorganizzazione delle biblioteche popolari e il nuovo impulso dato alle soprintendenze bibliografiche delinearono “una via italiana alla biblioteca pubblica”, che rimaneva, tuttavia, inevitabilmente staccata da ogni idea di autonomia locale, allontanando drasticamente l’esperienza italiana dal modello anglosassone della public library.

Carlo De Maria, Le biblioteche nell'Italia fascista, Milano, Biblion Edizioni, 2016

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