La strage di Tavolicci

Indice:

 

Il 22 luglio del 1944 si consuma presso il piccolo e isolato borgo di Tavolicci la “strage più raccapricciante e numericamente più consistente della Romagna”: 64 persone, di cui 19 sotto i 10 anni, vengono trucidate dal IV Battaglione di volontari di polizia italo-tedesca.

A dispetto della violenza particolarmente efferata e delle tragiche conseguenze, la strage resta non solo impunita ma anche difficilmente analizzabile: riguarda un luogo isolato e non facilmente raggiungibile, la documentazione ufficiale disponibile risulta fin da subito scarsa o addirittura contraddittoria e la memoria degli eventi, tramandata con difficoltà entro la stretta comunità interessata, resta per timori e reticenze estranea alle aule di tribunale e alle istituzioni preposte. Pertanto il processo celebrato presso la Corte d’Assise Straordinaria di Forlì nel 1946 e quello di Viterbo del 1949 si concludono con un nulla di fatto, lasciando molti interrogativi aperti; allo stesso modo la ricerca storica impiega decenni per poter ricostruire gli eventi e restituirne la complessità.

Il primo rilevante contributo della ricerca storica risale agli anni ’70, quando l’Amministrazione Provinciale di Forlì promuove il recupero della “perduta o inesistente memoria collettiva dei fatti” sia attraverso l’organizzazione di manifestazioni commemorative sia grazie al lavoro di Ennio Bonali, Romeo Domeniconi e Sergio Lolletti, che per primi raccolgono 27 testimonianze orali. Documentazione oggi conservata presso l’Istituto per la Storia della Resistenza e Età Contemporanea di Forlì Cesena.

In seguito la Provincia di Forlì finanzia la realizzazione di due documentari e i Comuni di Verghereto e Sarsina, in collaborazione con la Comunità montana cesenate e il Comitato Antifascista, propongono il recupero della casa dell’eccidio, al fine di renderla un simbolo e uno strumento per il “rilancio e l’arricchimento della comunità di Tavolicci”.

All’inizio degli anni Novanta Roberto Branchetti raccoglie ulteriori otto testimonianze di sopravvissuti e testimoni e nel 1994 esce il primo volume dedicato alla strage di Tavolicci, Ennio Bonali, Roberto Branchetti, Vladimiro Flamigni, Sergio Lolletti, Tavolicci e l’area dei tre Vescovi Una comunità pietrificata dalla guerra, Cesena, Il Ponte Vecchio.

Nel 1995 il ritrovamento del cosiddetto “armadio della vergogna”, oltre 695 fascicoli inerenti le stragi fasciste e naziste, occultati nello scantinato della Procura militare di Roma, porta alla tardiva riapertura delle indagini sulle stragi. In questo clima di rinnovato interesse, Marco Renzi rintraccia il fascicolo processuale di Tavolicci e la Procura militare di La Spezia riapre le indagini. La constatazione della morte di tutti gli imputati porta all’archiviazione dell’indagine.

Nel 2002 la Provincia di Forlì istituisce il Coordinamento provinciale per i luoghi della memoria formato da 12 Comuni, dalle Associazioni partigiane e dall’Istituto. Quello stesso anno il Comune di Verghereto e il Coordinamento decidono di affidare all’Istituto la gestione culturale e didattica della Casa di Tavolicci. Nel 2003 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi insignisce il gonfalone di Verghereto della medaglia d’oro al valor civile. Nel 2008 a cura del Coordinamento, escono i due volumi: Marco Renzi, Tavolicci 22 luglio 1944 e, dello stesso autore, Appennino 1944: “Arrivano i lupi”: Atti e misfatti del 4°battaglione di volontari nazifascisti fra Toscana, Marche e Romagna.

A questi studi va il merito di aver ricostruito le dinamiche della strage, di averla messa in relazione con un contesto più vasto, di averne attribuito le responsabilità al già citato IV Battaglione di polizia italo-tedesca e averne ipotizzato le cause, tenendo presente la provata estraneità della comunità locale alla dimensione resistenziale attiva.

L’eccidio di Tavolicci, per quanto a lungo taciuto, rimosso e dimenticato, si dimostra particolarmente importante per provare a comprendere tanto l’ultima fase della Seconda Guerra Mondiale quanto l’evoluzione delle narrazioni storiche.

In primo luogo, dimostra la complessità di una guerra totale, di occupazione e civile e mette in discussione diversi miti, come quello del “cattivo tedesco e del bravo italiano”. Inoltre la particolare ferocia dei carnefici rende impossibile ridurre la strage ad uno dei tanti episodi avvenuti durante il conflitto o ad una “rappresaglia”: piuttosto colpisce proprio il carattere non casuale di questa calcolata operazione di sterminio. Infatti la popolazione locale, estranea alla Resistenza attiva, diventa vittima della strategia del terrore nazifascista, che fa intenzionalmente della strage una prassi di guerra e della guerra di sterminio un metodo e un’ideologia. Non si tratta dunque di un atto isolato, quanto di un evento riconducibile “ad una più ampia sequenza di uccisioni differite nel tempo e nello spazio”, ossia a crimini della “guerra sporca contro il ribellismo”.

Per quanto riguarda invece le narrazioni emerse nel dopoguerra, bisogna osservare come nella storia di Tavolicci si intreccino tanto l’incapacità di rielaborazione (e di punizione) dei crimini di guerra, quanto gli influssi di una dilagante corrente antiresistenziale, che già alla fine degli anni ‘40 investe il dibattito culturale, la sfera sociale, la politica e, con esiti molto più evidenti, l’ambito giudiziario.

 

Per visite guidate alla Casa dell'eccidio contattare il Comune di Verghereto (tel. 0543.902313) o l’Istituto storico (tel. 0543.28999). 

*I testi di questa sezione del sito sono a cura di Lidia Celli, in collaborazione con Vladimiro Flamigni e Gabriele Rodriguez. Editing e grafica a cura di Natalia Coppolino, Selene Gherardi e  Alessia Giacalone.